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Una bella storia dalla Misericordia di Siena
Scritto da Redazione Toscana   
Venerdì 13 Febbraio 2015 13:00
Riportiamo un articolo pubblicato su La Nazione - Siena con la bella testimonianza di un volontario dell'Arciconfraternita
E poi c’è il grande cuore del volontariato. Non un modo di dire, seppur di comune e largo uso. Perché se l’operatore della Misericordia, ad esempio, si dice “nasca con la buffa” – in origine i “fratelli” giravano con un cappuccio che aveva lo scopo di tenere celato il volto del benefattore, poiché il bene doveva essere fatto in forma anonima – e dunque operi a volto coperto, il battito del suo cuore rimbomba ed è unico fine di un servizio sociale e salvifico.
Claudio Borgogni è uno dei tanti volontari a disposizione non 24 ma 48 ore al giorno dell’Arciconfraternita senese. E, quale coordinatore del trasporto organi, ne ha viste tante passare davanti agli occhi, ma ha anche percorso altrettante strade rincorrendo una speranza di vita.

“Il 17 dicembre 2010 ci fu una grande nevicata – racconta – L’ospedale chiama dicendo che c’era la possibilità di un espianto a Firenze e quindi la necessità di trasportare un cuore e un polmone a Siena. Dissi al professor Maccherini che in quelle condizioni ci potevano volere ore solo per fare  viale Bracci. Era impossibile arrivare a Firenze. Riusciamo a far slittare l’espianto di 12 ore, per la mattina successiva. Le condizioni erano migliorate ma quando arrivammo a Bargino trovammo l’Autopalio bloccata fino a Firenze Certosa (oggi Impruneta). Allora i vigili urbani di San Casciano Val di Pesa ci portarono sulla strada vecchia e riuscimmo a raggiungere Careggi. Arrivammo ma fu difficile e rischioso. Per il ritorno allora, anche pensando al cuore che ha tempi urgenti di consegna, pensammo di ricorrere all’elicottero: la missione si concluse con il cuore che arrivò così intorno alle 16 alle Scotte ; il polmone invece arrivò via strada”.

Una corsa contro il tempo che è nelle corde vitali di chi vive soccorrendo e, in questo caso, trasporta organi vitali. Ma  non solo: “La mossa fondamentale – precisa Borgogni – è il coordinamento sinergico fra tutti: noi dei trasporti come le strutture sanitarie, le forze dell’ordine e l’istituzione stradale. Siamo un pezzettino di questa lunga catena umana che da solo non significa nulla né porta da alcuna parte”. Ma è un pezzettino, il volontariato, senza cjui la catena umana stessa non funziona: perché se il medico fa la parte protagonista salvando la vita, senza l’organo non c’è vita da salvare.

Un ruolo dunque, quello del volontario 1857 – questo il numero sul cartellino identificativo di Claudio Borgogni – da comprimario ma che nel secondo piano trova il suo pieno senso e la soddisfazione più grande: “Non ci si aspetta alcun ringraziamento; facciamo il nostro servizio e la gioia più grande è portarlo a termine. Fa piacere a me sapere che ho potuto aiutare qualcuno. Mi è capitato di portare un cuore a un vicino di casa: commovente certo, ma bellissimo. Quando torno a casa dopo un servizio non sono solito raccontare: quello che ho fatto lo so ed è lì la ricompensa. Come quando esco per una missione non penso mai se ce la farò: qui bisogna prevedere l’imprevedibile. Non si può non farcela, tutto deve girare perfettamente. Un organo non arriva a destinazione? Un grande colpo per chi l’ha messo a disposizione, ma pensiamo a chi non lo riceverà: un colpo forse vitale! Non può accadere”.
“La missione dle volontario del soccorso – Borgogni sintetizza in poche ponderatissime parole – è fatta forse di tanta fortuna ma anche, un po’ (ironicamente parlando), di scrupolosità ed esperienza. E soprattutto di una grande opera comune, fatta di tanti pezzetti che solo insieme realizzano il tutto”.     p.t.